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Ricattata dal gioco (6)


di solisoli59
24.04.2024    |    1.838    |    0 9.6
"Con il respiro affannoso, la giovane borghese proiettò, suo malgrado, il culo all’indietro per impalarsi tutta proprio mentre l’uomo cominciava a schizzarle..."
Il notaio Paulan abitava in una bella via nel tredicesimo distretto to, non lontano dalla porta d’italie. Le undici di sera erano passa te da poco quando Irene parcheggiò la sua auto a qualche metro dalla grande casa borghese a due piani con la facciata coperta di edera, simile, per lusso, a tutte le altre che l’affiancavano. Irene conosceva bene questo quartiere dato che aveva trascorso la sua infanzia poche strade più in là ma non era questa l’ora dei ricordi ed ancora meno delle nostalgie. Si trovava lì per un appuntamento da cui dipendeva il suo futuro.
Il più strano appuntamento della sua vita, senza alcun dubbio, dato che lei non sapeva chi fosse questo notaio Paulan del quale stringeva in mano la carta da visita, né perché dovesse essere costui a darle il denaro che mancava.
Prima di uscire di casa, aveva telefonato al direttore del casinò per tranquillizzarlo a proposito del proprio debito: la faccenda era quasi risolta. Adesso, però, mentre si avvicinava al portone dell’edificio non ne era più così sicura. Suonò il campanello ed attese che qualcuno venisse ad aprirle.
Mirella, in realtà, non era stata molto esaustiva. L’indirizzo era quello e basta. Perché alle undici di sera? Non erano affari suoi le aveva risposto sgarbatamente prima di uscire, stringendosi al petto il suo orribile signor Delizia. Irene detestava quella donna. Mirella non aveva avuto alcuna pietà di lei. Le aveva dovuto servire il caffè, nuda e grottescamente avvolta nel grembiule da cameriera, restando in piedi per tutto il tempo che l’odiosa segreta ria aveva sorbito l’espresso, mentre continuava ad umiliarla pizzicandole le tette ed il culo...
“La signora de Sentier?”
Irene trasalì sentendo pronunciare il suo nome. Da ventiquattro ore, ormai, aveva rinunciato a tutto. Orgoglio, pudore, dignità.
Ma, per una sorta di ultima difesa, voleva mantenere I’ anonimato come per dissociare i propri comportamenti debosciati dal nome che portava. Guardò l’uomo dalle tempie grigie che le si era para to di fronte. Era alto e magro ed il suo smoking la rassicurò. Questa era gente del suo stesso livello, si sarebbero senz’altro capiti.
“Il notaio Paulan, immagino...”
“Sì, si accomodi, la prego.”
Irene fece un cenno di assenso e seguì l’uomo attraverso l’androne, salì quattro scalini e si trovò nell’ingresso della casa. L’ ambiente era scuro e lussuoso: rivestimenti in legno di quercia, lampade in stile anni trenta, quadri astratti dai colori aggressivi alle pareti. Accanto alla rampa di scale che portava al piano superiore, una donna bionda di circa quarant’ anni, vestita di seta rosa, la osservò con uno sguardo duro, quasi insultante. Era truccatissima ed aveva un’espressione viziosa sulle labbra. Sembrava anche un po’ ubriaca ed ignorò il saluto di Irene continuando a fumare la sua sigaretta.
“Mia moglie ed io siamo appena tornati da un noioso ricevimento al ministero della cultura,” disse il notaio.
Irene ebbe l’impressione di avere già udito quella voce nasale e monocorde. L’uomo si voltò verso la moglie. “Questa è la persona di cui ti ho parlato, cara...”
La bionda uscì di colpo dal suo torpore e si fece incontro ad Irene con passo leggermente barcollante. Il suo abito di seta, luccicante di riflessi, scolpiva il suo corpo in maniera indecente, sottolineando il rigonfiamento del monte di Venere ed accentuando la sagoma dei seni che la scollatura lasciava, in buona parte,
scoperti. La donna emanava un fascino malsano che mise Irene a disagio.
“Così sarebbe questo il regalo del vecchio pazzo?”
Irene fece finta di non capire. Lo sguardo della donna la stava trapassando da parte a parte. Il notaio aveva, intanto, aperto una porta laterale.
“Voglia scusare mia moglie, signora de Sentier. Forse ha bevuto un po’ troppo champagne.”
Irene voltò le spalle alla bionda che se ne stava immobile in posa provocante, una mano appoggiata sull’anca e le reni arcuate. La udì sogghignare.
“Allora, Carlo...” disse con voce da ubriaca, “spero che non vorrai tenerti questa appetitosa puttanella tutta per te...”
Irene fremette per l’insulto ma non replicò limitandosi a segui re il notaio nell’immenso salone nel quale troneggiava un camino di marmo. Chinato davanti alla cappa, un uomo sui trent’anni, in uniforme da autista, stava attizzando la brace con l’aiuto di un soffietto. Questa nuova presenza aumentò il disagio di Irene. Vedendola entrare, l’uomo la fissò con uno sguardo vizioso, poi si alzò in piedi e raccolse il berretto che era stato posato sul divano dicendo rivolto a Paulan.
“Immagino che il signore non abbia più bisogno di me...”
La bionda, però, che intanto era andata ad appoggiarsi contro il pianoforte a coda che occupava un intero angolo della stanza intervenne con tono di sfida:
“Forse il signore non ha più bisogno dite.., ma io sì...”
“Marina, ti prego è inutile che cerchi di dare spettacolo,” fece il notaio fissandola con un volto totalmente inespressivo. Irene, disorientata, osservava quello strano gioco fra marito e moglie. Im mobile, accanto al camino, l’autista sembrava anche lui molto perplesso. Marina si avvicinò al giovanotto ancheggiando
esageratamente. Le sue natiche tonde ma un po’ molli si muovevano contro la guaina di seta, Non era difficile indovinare che sotto era nuda. Quando gli giunse accanto, allungò una mano fra le cosce dell’autista. Irene si sentì gelare ma il notaio non aveva battuto ciglio. Senza emozione evidente guardò la moglie palpare l’uccello dell’autista attraverso i pantaloni di sargia blu marino.
“Cosa ti succede, mio caro.., lo spettacolo non ti piace più? Hai paura che la puttanella vada a raccontare ai tuoi amici del gran mondo che tua moglie si fa sbattere dal tuo autista?” disse la bionda provocatoria.
Questa volta Irene sentì di non poter ingoiare l’insulto.
“Io... io non le permetto, signora...”
Senza dare alcuna importanza a quelle proteste, la bionda abbassò gli occhi sul rigonfiamento che deformava i pantaloni del l’autista e continuò, come se nulla fosse, a massaggiare lentamente la verga mentre strusciava il pube contro la coscia dell’uomo. Paulan posò due bicchieri ed una bottiglia di whisky su un tavoli no. Si era allentato il nodo del fiocco dello smoking e si era aperto il collo della camicia inamidata. Disse rivolto alla moglie:
“Perché non vai a diverti da qualche altra parte, Marina? La signora de Sentier ed io abbiamo un affare da regolare.”
La bionda sospirò. La luce che proveniva dal fuoco del camino danzava sul suo volto mettendo in evidenza le rughe del collo e agli angoli della sua bocca e dei suoi occhi. Aveva paura di invecchiare, si vedeva bene, ed era per questo che si comportava così.
“Dubito che costei sia un buon affare,” disse allontanando a
malincuore la mano dal pene dell’autista. “Comunque, come preferisci, mio caro...”
L’autista uscì senza dire una parola ed Irene si sentì sollevata. Quel giovanotto aveva qualcosa che la disgustava ed affascinava ad un tempo. Automaticamente, prese il bicchiere che il notaio le porgeva. La signora Paulan si era intanto allungata sul divano, con una gamba a cavallo della spalliera, gli occhi fissi sul camino. L’orlo del vestito, che le era risalito fino all’alto delle cosce, lasciava scorgere la macchia scura del pube. Irene intravide la fessura profonda che la luce insufficiente del salotto rendeva ancora , più misteriosa ed eccitante e, come per farsi coraggio, ingoiò un lungo sorso di whisky che le bruciò la gola. Con una smorfia depose allora il bicchiere sul pianoforte. Il silenzio che regnava nel la stanza da quando l’autista se ne era andato le sembrò insopportabile...
“Bonsal non mi aveva mentito...” disse il notaio fissandola con
intenzione mentre le si avvicinava.
“Io... io non capisco...”
Permise comunque che l’uomo la liberasse dalla giacca. Aveva indossato un abito bianco, molto castigato, che si apriva sul davanti. Quando le dita del notaio si posarono sui bottoni cessò quasi di respirare.
“Non c’è nulla da capire, Irene... lei sa bene che Bonsal mi ha incaricato di darle una certa somma, non è così?”
Irene sbatté le ciglia mentre le sue gote si imporporavano per l’imbarazzo. Paulan, intanto, dopo averle tolto la giacca, si era messo a giocare con i bottoni della sua camicetta. Si chiese di nuovo dove aveva già sentito quella voce ma non riuscì proprio a ricordarselo. L’alcol le confondeva i pensieri. Si reggeva a fatica Sulle gambe che le tremavano. C’era, in quella casa, un’atmosfera malsana che quella coppia bizzarra sembrava coltivare ad arte. Riversa sul divano, la bionda li spiava. Aveva allargato al massimo le cosce e la sua posizione era divenuta, adesso, apertamente oscena. L’abito rosso le si era arrotolato completamente fino al triangolo del pube e lei si era infilata una mano nella vulva carezzandosi apertamente la clitoride. Doveva eccitarla al massimo guardare il marito mentre toccava un’ altra donna. Irene si irrigidì di colpo. Il notaio aveva cominciato ad aprirle la camicetta mettendo a nudo la parte superiore dei suoi seni. Protestò con voce strozzata:
“Non... non dovevamo parlare di soldi?”
“Su via, Irene, apparteniamo allo stesso mondo, non è vero? Non vorrà dare ragione a Marina comportandosi in questo modo, come una... come una di quelle donne che si fanno pagare prima di...”
Il notaio contemplò con aria soddisfatta i due globi di carne che aveva in parte messo a nudo e che sì sollevavano al ritmo affannoso della respirazione di Irene e sorrise alla vista del reggipetto ricamato, di trasparente lucentezza, che non dissimulava nulla dei capezzoli eretti.
“Questo il più bel regalo che quell’ idiota di Bonsal mi abbia mai fatto...” sogghignò.
Irene si morse le labbra senza riuscire a staccare gli occhi da Marina che continuava a masturbarsi, gemendo senza ritegno, le dita che sprofondavano sempre più in fondo alla fessura della fica. Irene la guardava affascinata e... eccitata, mentre un umore copioso le stava bagnando il cavallo delle mutandine. Come per stordirsi buttò giù un altro lungo sorso di whisky.
Intanto, ignorando i movimenti della moglie, il notaio continuava a sbottonarle la camicetta e lei faceva finta di nulla. L’uomo le si avvicinò ancora di più.
“Mi permette?” disse gentilmente. “Adoro aprire di persona i regali.”
Irene rispose con lo stesso tono mondano.
“Ho forse una possibilità dì scelta? Faccia pure allora...”
Paulan tirò delicatamente il bordo del reggipetto scoprendo l’areola bruna del seno. Sul divano, intanto, Marina si inarcò in uno spasmo di godimento emettendo un rantolo di piacere che fece arrossire Irene che guardava, affascinata, la vulva della bionda pulsare oscenamente sotto il dito che la masturbava. La giova ne borghese sentì l’unghia del notaio graffiarle il capezzolo. Poi, un nuovo strappo e il globo di carne del seno fuoriuscì completamente dalla sua nicchia di stoffa. Con un altro gesto brusco I ‘uomo le denudò anche l’altra tetta.
“Il vecchio Bonsal è veramente un duro negli affari.., quando
penso che si è limitato a valutare i suoi... diciamo talenti... solo
tremila euro...”
“Che cosa?”
Irene aveva quasi gridato. Le parole del notaio la umiliavano ancora di più di dover esibire i suoi seni per recuperare i soldi che le erano dovuti.
“Sì,” continuò l’uomo con un odioso sorrisetto, “questa è la somma che mi ha detto di darle. Personalmente avrei offerto il doppio... solo per ammirare le sue tette. Sono magnifiche, lo sa?”
“No... no, io...”
Irene era troppo disperata per capire ciò che realmente stava accadendo. Il notaio aveva afferrato i suoi seni e glieli palpava senza dolcezza, stringendone crudelmente il capezzolo fra le unghie. Quanto ad Irene, lei pensava solo ad una cosa: l’usuraio l’aveva truffata, l’aveva vergognosamente umiliata e obbligata a , prestarsi ai più sordidi giochi sessuali e tutto questo per nulla! Avrebbe voluto piangere.
“Ma...”
“Lo so, è di cinquantamila franchi che lei ha bisogno. Tuttavia, mia povera cara, come ha potuto veramente credere che un vecchio avaraccio come Bonsal avrebbe speso una somma simile solo.., solo per farsi una scopata come si usa volgarmente dire?”
Cessando di colpo di manipolarle i seni il notaio glieli lasciò ricadere pesantemente sul busto. Irene abbassò il capo scoppiando a in singhiozzi.
“Andiamo, Irene, non pianga e mi dica, piuttosto, se in questo momento ha del tempo libero.”
“Del tempo libero...?”
“Sì... mia moglie ed io stavamo proprio per fare un piccolo annuncio su un giornale. Siamo alla ricerca di una dama di compagnia, una persona giovane, docile e ben educata,.. ma soprattutto molto viziosa e lei mi sembra corrispondere in tutto e per tutto a...”
“Io... io non sono certo...”
“Un momento, Irene, non è stata lei stessa a dirmelo l’altra sera l telefono? Non lo ricorda?”
Questa voce nasale... ma sì, come aveva fatto a non riconoscerla subito? Era a quest’uomo che aveva dovuto confessare al tele fono quelle cose disgustose durante l’avvilente incontro con l’usuraio Bonsal!
Sentì che Marina stava ridacchiando. Sconvolta non fece alcun gesto per impedire al notaio di sbottonarle completamente il vestito e Paulan non riuscì a trattenere un sospiro di giubilo alla vista delle sue calze di seta trattenute dal reggicalze e delle mutandine trasparenti che stringevano il suo pube lasciando in travedere il ciuffo scuro dei peli.
“Lei permette?” Chiese facendo scivolare la punta delle dita sotto l’elastico dello slip e poi entrandole con i polpastrelli all’interno della vulva. Un brivido di piacere percorse il corpo di Irene. Rudemente, il notaio cominciò a masturbarla muovendo le dita avanti ed indietro nella fessura già umida di umori mentre lei tremava. L’uomo si voltò di nuovo verso la moglie.
“Proprio ciò che cercavamo, mia cara. Una vera fica da porca... grossa e umida... e di buone maniere.”
“Questo non basta,” brontolò Marina con cattiveria. “Come è il suo altro buco?”
A queste parole, Irene avrebbe voluto liberarsi dalla stretta del l’uomo ma una debolezza malsana le pervadeva le membra. Per meglio penetrarla il notaio l’aveva uncinata con il pollice e le massaggiava abilmente con questo la clitoride mentre le teneva infilate le altre dita dentro la fessura. Irene pensò che sarebbe impazzita di vergogna ma non c’era alcun dubbio: se quello non avesse subito smesso di masturbarla avrebbe avuto un orgasmo.
Purtroppo doveva ammetterlo, non era ormai che un giocattolo nelle mani di questi viziosi. Intanto, il notaio le aveva tolto le dita dalla sua vagina ed ora, scivolandole dentro il solco fra le natiche, cercava di raggiungere il suo orifizio anale. Quando ci infilò dentro un dito, Irene aprì la bocca per protestare ma non riuscì ad emettere che un gorgoglio di vergogna.
“La signora è ancora un po’ stretta di culo,” disse il notaio rivolto alla moglie. “Si capisce subito che non ha l’abitudine di farsi sodomizzare.. .”
Irene non disse una parola, troppo occupata a lottare contro le sensazioni che le stavano invadendo il ventre. Scopriva, in quel momento, che essere toccata in quel posto le piaceva. Come era possibile ? Paulan si allontanò da lei.
“Mia moglie ed io siamo pronti a farle un prestito... per una
somma che le consentirà di pagare il suo debito,” disse l’uomo tirando fuori un libretto di assegni. “In cambio lei ci concederà qualche ora del suo tempo, d’accordo?”
Era come con Bonsal, pensò la poveretta guardando il notaio svitare il tappo della stilografica e riempire un assegno, e lei era di nuovo in trappola, vittima di un altro odioso ricatto. Ma questa volta non c’erano più limiti...
Paulan la chiavò da dietro, in piedi contro il pianoforte. Marina guardava. Era una di quelle donne che si eccitano vedendo gli altri fare l’amore. Adagiata sul divano con le gambe aperte, fumava una sigaretta mentre il marito estraeva il fallo rigido dai pantaloni dello smoking per farlo poi scivolare fra le cosce di Irene che attendeva piena di vergogna per starsene così, con il culo offerto ed i gomiti appoggiati sulla lacca nera del pianoforte, a cosce tese e ben divaricate. Lo sguardo vizioso di Marina la metteva terribil mente in imbarazzo... ma, suo malgrado, aumentava la sua eccitazione. Si immaginava al posto dell’altra a guardare l’uccello di Edoardo, suo marito, piantarsi nella fenditura umida di una puttana. Solo che Edoardo non avrebbe mai fatto una cosa del genere...
La punta del glande le carezzava il solco del sedere. Si sentiva come una cagna. Il desiderio di essere chiavata, di sentire quel duro cilindro di carne dentro di sé, la faceva tremare di un desiderio vergognoso. Paulan se la prendeva comoda. La sua verga continuava ad affondare nell’umidore delle sue cosce esitando sul l’orlo della vagina. Alla fine la penetrò con un affondo violento improvviso e lei si arcuò spalancando la bocca. Appena le fu dentro fino ai testicoli, il notaio le passò le mani sotto le ascelle e le afferrò le tette. Irene, allora, cominciò a contorcersi, scossa da un piacere infame che strappò a Marina un grido di giubilo.
“Forza caro... rompi la figa di questa puttana... falla urlare di piacere come una scrofa!”
Irene strinse i denti. Non voleva mostrare che godeva. I suoi Seni sussultavano sotto gli assalti mentre il ventre dell’uomo batteva contro le sue chiappe sempre più forte, sempre più in fretta e quel fallo era così grosso che quasi non ci si poteva credere. Ma lei non voleva gridare il suo piacere. Voleva tenere per sé, per salvare che restava del suo pudore, le sensazioni terribili che le sconvolgevano il ventre e si mordeva le labbra per impedirselo. La signora Paulan, però, non era una sciocca.
“Gode... la troia, non vedi? Pistonala ben bene.., ancora più forte.., fino in fondo... mettiglielo dentro come piace a me...”
“No... no...”
Le proteste di Irene erano ridicole. Dal tono della voce esse tradivano il piacere che montava in lei inesorabilmente. Paulan la chiavava con grandi colpi di reni, tenendola schiacciata con le tette contro il pianoforte. Con il respiro affannoso, la giovane borghese proiettò, suo malgrado, il culo all’indietro per impalarsi tutta proprio mentre l’uomo cominciava a schizzarle nella figa la sua sborra. A questo punto lei non riuscì a trattenere un grido.
Il notaio si ritrasse quasi subito lasciando Irene in quella posi zione oscena, a gambe divaricate, la figa che colava sperma, e si avvicinò alla moglie prendendola per la vita e dicendo:
“Su, vieni anche tu...”
Marina si lasciò spingere fra le gambe di Irene che cercò, istintivamente, di stringere le chiappe anche se sapeva che questo doveva fare parte del gioco ed era inutile opporsi. La lingua della bionda si insinuò nella piega dei glutei di Irene leccando il bocciolo dell’ano per poi scendere più in basso dentro la vulva umida.
“Lecca, lecca la figa di questa troia!” gridò il notaio.
Quella lingua vorace continuava ad accarezzarla. Irene chiuse gli occhi. Si sentiva sconvolta dalla complicità di quella coppia che rendeva il suo ruolo ancora più umiliante. Lei non era altro che un buco da scopare e leccare ma, peggio di tutto, a lei piaceva che fosse così... una donna la stava succhiando e lei ondeggiava lascivamente il bacino.
“Marina adora leccare le fighe delle puttane che mi sbatto,” disse Paulan compiaciuto rimettendosi il pene nei pantaloni.
“E lei. Irene? Che ne pensa di come mia moglie la sta leccando? Le piace...?”
“Mhhh...”
Irene cercò debolmente di sottrarsi a quelle carezze ma Marina, sempre senza cessare di infilarle la lingua ruvida dentro la vagina, l’aveva afferrata per le labbra della fica e la pizzicava perché non si muovesse. Sconvolta dal godimento, Irene si abbatté, ansimante, sulla tastiera del pianoforte che emise un suono profondo e lugubre. “Spinga più alto il culo, Irene... Sì, così va bene.., voglio osservare mia moglie mentre le lecca la bernarda... Mi raccomando, fino all’ultima goccia, cara...”
Irene, suo malgrado, si sentiva inebriata dai rumori osceni che la lingua di Marina produceva nella sua vulva. Quando godette, l’orgasmo le fece l’effetto di una scossa elettrica.
Era un orgasmo ancora più violento di quello provato con l’uccello del notaio, pensò, mentre si contorceva per il piacere prima di abbandonarsi sconvolta sullo sgabello del pianoforte.
Intanto, Marina si era rimessa in piedi. Irene la vide piegarsi verso il marito per baciarlo sulla bocca, come una cagnetta che venga a cercare la sua ricompensa. Il notaio le dette uno sculaccione sul sedere e la respinse e la donna si allontanò visibilmente delusa.
Irene guardò l’assegno che l’uomo aveva, precedentemente, posato sul pianoforte. Dubitava di aver guadagnato abbastanza per pagare il suo debito al casinò e non aveva torto. La cifra era la metà di quella di cui aveva bisogno. Con un sorrisetto odioso il notaio le palpò le tette dicendole.
“Questa è naturalmente solo la prima parte del prestito. Avrà il resto in seguito. al nostro prossimo appuntamento, ma solo se si Comporterà bene come stasera.”
Irene piegò il capo e l’uomo la riaccompagnò alla porta. Quan do fu sulla soglia, ad Irene parve come se avesse sognato, che nulla di ciò che era accaduto fosse accaduto veramente. Alle sue spalle lo udì mormorare.
“Le diremo noi dove e quando ci incontreremo di nuovo, Irene... non dimentichi. Adesso siamo noi i suoi creditori...”
Il tono sferzante della sua voce rendeva l’insulto ancora più cocente. Irene de Sentier, con le lacrime agli occhi, si diresse in fretta verso la sua vettura. Si infilò nell’ auto chiudendo la portiera con un gesto brusco. Non c’era pericolo che se ne potesse dimenticare...
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